“Io sono stato adottato”, non è una frase semplice da pronunciare. Perche’ si porta dietro una serie di significati, come il fatto che i propri genitori biologici non ti hanno voluto, o comunque per qualche motivo sconosciuto, hanno preferito che qualcun altro si occupasse del proprio bambino. La domanda “PERCHE’?” è quella che nel 90% dei casi, prima o poi, un bambino adottato si fara’ e che insieme ad altre, potra’ far scattare a volte nella sua mente l’idea di non essere uguale a tutti gli altri. Adottare un bambino è un percorso meraviglioso, ma faticoso, che implica una serie di sfide che cercherò di sintetizzare nei 5 passaggi che seguono. L’adozione è difficile. Perche’ un bambino non è un pacco postale, e la paura di sentirsi diversi riemergerà sempre in lui, l’essere stato allontanato dai suoi genitori biologici, potra’ avere’ in qualche modo un effetto traumatico su di lui, sia che sia stata o meno una scelta. Chiunque voglia intraprendere un percorso così complesso, come l’adozione, deve informarsi, documentarsi, chiedersi se se la sente davvero, perché quello a cui andrà in contro sarà probabilmente l’esperienza più difficile della propria vita. Bisogna rendersi conto che indipendentemente dai numerosi studi fatti, , non esiste nulla che possa preparare al 100% un genitore all’esperienza dell’adozione; bisogna essere consapevoli che non tutto potrebbe andare secondo i propri piani, ma che si imparera’ tutto man mano, dall’esperienza e soprattutto dai propri errori. Il bambino adottato potrebbe avere sempre una certa paura dell’abbandono. Instaurare rapporti duraturi, aprirsi completamente con un’altra persona potrebbe riuscire alquanto difficile. La sensazione di non essere adeguati, di non essere all’altezza di un’altra persona, puo’ emergere con piu’ facilita’ nei bambini adottati che negli altri, e molte volte potra’ compromettere certi rapporti, sia di amicizia, che di amore. Un bambino adottato potra’ sentirsi spesso insicuro, timoroso di sbagliare, impieghera’ piu’ tempo ad essere completamente “autonomo”. Dire la verita’ al bambino adottato.E’ importante che i bambini sappiano sempre la verita’ sulle loro origini, nasconderle non soltanto e’ ingiusto, ma puo’ risultare pericoloso, perche’ potrebbero cogliere che c’è qualcosa di “non detto” sulla propria storia e farsi delle fantasie catastrofiche. Meglio una triste verita’ che una falsa e terribile fantasia. Dargli il permesso di cercare le proprie origini da grande. Eh… qui arriviamo ad un punto molto dolente. Può sicuramente succedere, che da grande il bambino abbia desiderio di sapere di piu’ sulle proprie origini, ma non perché il bambino non ama i suoi genitori adottivi, anzi, ma semplicemente perche’ ha bisogno di completare il quadro relativo alle sue radici. Per alcuni genitori, il fatto che il proprio figlio adottivo voglia ricercare le proprie origini, puo’ essere vissuto come un tradimento, ma non lo è assolutamente. Il fatto che lui/lei voglia conoscere i propri genitori biologici non significa che voglia scappare o che li amerebbe piu’ dei suoi genitori adottivi. Il suo bisogno in realta’ è piu’ spesso dettato dalla curiosita’ di conoscere, ad esempio, a chi somiglia fisicamente, oppure di avere informazioni su eventuali predisposizioni a malattie di vario genere, ad esempio. Genitore è colui che cresce, non chi partorisce. Sembra una frase banale, ma state tranquilli che un bambino adottato saprà comprendere bene questa verita’. Una frase che a me personalmente ha aiutato molto è stata questa: “Tu non sei mai stata nella mia pancia, ma sei stata da subito nel mio cuore” e in fondo, questo è l’importante: l’amore che è il filo conduttore di ogni cosa e l’essenza della vita stessa.
Il tema della didattica per competenze fa parte del dibattito educativo ormai da diversi anni. Le Indicazioni Ministeriali del 2012 hanno proceduto ad una revisione sia dei traguardi per lo sviluppo delle competenze, sia degli obiettivi suggeriti per perseguirli. Le principali novità sono rappresentate dal richiamo diretto alle competenze chiave europee per la cittadinanza e l’apprendimento permanente, giunte tra l’altro alla seconda riformulazione (22 maggio 2018), e dal Profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione. Lo sviluppo delle competenze non viene quindi presentato come un accessorio del processo di alfabetizzazione, ma come una finalità della scuola, come un suo elemento irrinunciabile. Se rivolgiamo lo sguardo alla didattica, considerando queste promesse, dovremmo parlare più propriamente di “didattiche” funzionali alla promozione delle competenze che hanno come prospettiva di riferimento la formazione della persona e del cittadino. Non si può certo dire che i docenti non lavorino considerando questo aspetto come obiettivo finale, ma quello che ci stanno chiedendo i documenti ministeriali sulle competenze è qualcosa di diverso: iscrivere le nostre esperienze in una cornice di significato e di senso condivisa. Molto spesso le pregevoli esperienze che vengono realizzate nelle nostre scuole hanno carattere di episodicità e frammentazione, sono talvolta implicite nella mente dei docenti stessi, dalla discrezionalità delle persone, dai loro interessi, dalla buona volontà di metterle in atto, più che da una condivisione intersoggettiva di una progettualità educativa e didattica a livello di istituto. Cosa vuol dire lavorare nell’ambito di una didattica per competenze? Vediamo 4 punti che ne delineano le caratteristiche. 1.Complessità. Vuol dire intanto far riferimento a dei compiti complessi come i cosiddetti “compiti di realtà” o “significativi” o “autentici”. I compiti che si propongono agli allievi devono essere più difficili rispetto alle risorse che essi già posseggono. Se dovessero affrontare lavori commisurati strettamente a ciò che sanno e sanno fare, si limiterebbero a esercitare conoscenze e abilità già conseguite. Salta dunque lo schema tradizionale della lezione frontale: io spiego, tu studi, io interrogo. Per far fronte a compiti complessi non è sufficiente fare riferimento alla somma delle conoscenze acquisite, sebbene esse siano fondamentali; gli alunni dovranno lavorare, mettersi assieme e fare: ricercare informazioni, trovare soluzioni, attivare la propria creatività. Proporre ad esempio ai bambini di curare l’allestimento di una mostra è un compito complesso, gli aspetti da curare sono molteplici e non esiste un solo modo di risolvere il problema. Ed è per questo che un compito di realtà viene definito solo parzialmente, in modo da favorire una maggiore creatività in fase risolutiva. La situazione appena più complessa stimola il problem solving e la necessità di reperire informazioni e strategie che ancora non si posseggono. L’agire competente si rivela proprio nella capacità di reperire strumenti e risorse nuovi, partendo da quelli già posseduti. 2.Interdisciplinarità: Un compito di realtà è normalmente interdisciplinare, ha maggiori possibilità di risultare complesso e nuovo per gli studenti. Nelle Indicazioni si legge “Le discipline come noi le conosciamo sono state storicamente separate l’una dall’altra da confini convenzionali che non hanno alcun riscontro con l’unitarietà tipica dei processi di apprendimento. Ogni persona, a scuola come nella vita, impara infatti attingendo liberamente dalla sua esperienza, dalle conoscenze o dalle discipline, elaborandole con un’attività continua e autonoma.” I percorsi didattici privilegiano l’integrazione dei saperi, che insieme concorrono a costruire competenze attraverso l’esperienza e la riflessione nei compiti significativi e nelle unità di apprendimento. Centralità del discente. Nella didattica per competenze viene posta maggior enfasi sul ruolo del discente. Tuttavia il docente non perde importanza, la sua azione viene valorizzata attraverso l’assunzione di un ruolo di mediatore e facilitatore. Mette a disposizione strumenti e pianifica situazioni che permettono all’allievo di costruire il proprio apprendimento. Fornirà probabilmente meno risposte ma molte buone domande per sollecitare la ricerca, la formulazione di ipotesi e la sperimentazione di strategie e tecniche piuttosto che soluzioni. Il docente assume una responsabilità educativa, poiché l’insegnamento persegue la finalità della formazione della persona e del cittadino autonomo e responsabile e non resta quindi confinato nell’ambito della dimensione culturale. 4. Gruppo La didattica per competenze privilegia l’aspetto sociale e cooperativo dell’apprendimento. I compiti di realtà dovrebbero essere calati in un contesto in cui è possibile accedere a conoscenze, abilità e competenze attraverso gli altri. Del resto chiedere aiuto, saper gestire le informazioni ricevute e impiegarle per la soluzione di un nostro problema fa parte delle esperienze quotidiane di ciascuno di noi. Insieme si può apprendere meglio, si possono condividere informazioni, procedure e strategie, si può prestare e ottenere aiuto. Le tecniche di apprendimento cooperativo, di tutoraggio tra pari, la discussione, sono congeniali alla promozione di competenze. In particolare la dimensione del piccolo gruppo favorisce gli scambi comunicativi e l’interdipendenza positiva.
C’e tanto da vivere in un momento di dolore, quanto in uno di gioia (Strosahl) Il termine connessione, da latino connectĕre ‘connettere’, assume diversi significati, in senso generale è inteso come un legame di stretta relazione e interdipendenza. Oggi al tempo del Covid 19, in cui siamo chiamati a rinunciare alla nostra socialità vis-à-vis, a modificare radicalmente le nostre abitudini, la nostra routine, il termine connessione può assumere un ruolo fondamentale. C’è da fare i conti con diverse emozioni, molte spesso percepite come spiacevoli, come paura, ansia, tristezza, noia e con l’affiorare alla mente di pensieri catastrofizzanti, negativi, disfunzionali e abbiamo bisogno di Connessione. Ti starai chiedendo, Cosa intendi per connessione? Il termine connessione, cosi come inteso in questo articolo, deriva dall’ACT (L’Accceptance and Commitment Therapy), terapia basata sull’accettazione e sull’impegno, che fa parte delle terapie cognitivo comportamentali di terza generazione, e negli ultimi 30 anni moltissime sono le evidenze scientifiche che ne hanno dimostrato l‘efficiacia nella gestione e regolazione emotiva (Hayes, S. C., Luoma, J., Bond, F. W., Masuda, A., Lillis, J. 2006). Nell’ACT il termine connessione è inteso come «contatto con il momento presente. Significa essere pienamente consapevoli dell’esperienza nel “qui e nell’ora”, pienamente in contatto con ciò che si sta facendo, profondamente connessi con il momento presente (riferimenti bibliografici). Capacità quest’ultime fondamentali per gestire al meglio la situazione d’emergenza determinata dal COVID 19 e preservare il benessere psicologico di ognuno. Come posso gestire al meglio questo momento difficile che stiamo affrontando? Connettendoti a 4 c, come ho titolato questo articolo, che ho scritto con l’auspicio di fornirti spunti e suggerimenti da inserire nella cassetta degli attrezzi che adoperi in situazioni di necessità, come questa che stiamo affrontando. E quindi: Connettiti con le persone vicine e lontano Connettiti con il tuo corpo, con le tue sensazioni Connettiti con l’ambiente intorno a te Connettiti con i tuoi valori Nello specifico: 1.Connettiti con le persone vicine e lontano In un momento delicato come questo, in cui il COVID 19 ci impone di restare a casa ed essere distanti, è facile cadere nella trappola del “sono solo-mi sento solo” a cui si accompagna spesso uno stato di profonda solitudine. Ringrazia la tua mente per questi pensieri e riporta il focus della tua attenzione a ciò che puoi fare per connetterti con le persone care. Come ? Pensa a tutti i modi che hai per connetterti con loro. Nell’era che stiamo vivendo dominata dal digitale, abbiamo tutti un pc o uno smartphone, per cui: connettiti utilizzando i social, fai delle chiamate o videochiamate, manda un sms o un whazzapp. Connettiti anche a quelle persone che per via degli impegni, magari senti meno frequentemente e che sono però importanti per te. Connettiti con le persone a te care preparando qualcosa per loro, un dolce, un buon piatto, guarda sul tuo cellulare le foto dei bei momenti che avete condiviso insieme e inviane una, o ancora cerca dentro casa, in quel cassetto che non apri mai, qualcosa che ti ricorda di esperienze vissute insieme (biglietto del cinema, del concerto, scontrino della cena tutti insieme e tanto altro ancora). Scrivi un messaggio di ringraziamento che vuoi dedicare ad una persona a te cara e faglielo recapitare. Se hai figli gioca con loro, pensa e progetta delle attività da fare insieme, e quando lo fai connettiti pienamente, lascia ogni cosa e dedicati interamente a quell’attività/gioco scelto insieme. E se quello a cui vuoi connetterti è una persona cara che non c’è più, e non stai uscendo per andare a trovarla al cimitero, per evitare quanto più possibile di uscire di casa, nel rispetto di quanto richiestoci dal DPCM del 11 marzo, connettiti da casa. Pensala, ripercorri esperienze positive vissute insieme, raccogli delle foto che hai sul cellulare, sul pc, e fai un album o u video virtuale. Parlane al telefono con qualcuno, condividi questo tuo bisogno, apriti. 2.Connettiti con il tuo corpo, con le tue sensazioni Connettiti con il tuo corpo con le tue sensazioni, vuol dire porta tutta la tua attenzione su ciò che sta avvenendo dentro di te in questo preciso istante. Non sarà facile, lo so, la mente divaga. Il divagare della mente è definito “mind wondering” (mente vagobonda), nel senso che vaga continuamente tra mille pensieri, ed è tutto normale, vuol dire la tua mente funziona bene. Quante volte siamo alla scrivania o sul divano, intenti nel nostro lavoro o nella lettura del nostro libro e, senza consapevolezza né intenzione, iniziamo a vagare col pensiero: E’’ insopportabile questa situazione? Che pensano i colleghi, gli amici di tutto ciò ? Andremo in vacanza quest’estate? non riusciremo ad uscircene! Semplicemente nota la distrazione che stia avendo e riaccompagna la tua attenzione alle sensazioni che stai sperimentando nel tuo corpo ora. Come Fai l’esperienza ora, connettiti con il tuo corpo (tratto da la Trappola della felicità, di Harris): nota come tieni le braccia, le gambe e la posizione della tua colonna vertebrale. Esamina l’interno del tuo corpo dalla testa alla punta dei piedi, nota la sensazione nella testa, nel torace, nelle braccia, nell’addome e nelle gambe. Chiudi gli occhi e fallo ora. Cosa noti? Prova a farlo ogni giorno, noterai come l’abilità di connessione ti aiuterà a gestire meglio questa esperienza eccezionale, diversa che stiamo tutti affrontando e in generale ti aiuterà a gestire meglio le esperienze dolorose della vita. La mindfulness – le pratiche meditative, possono essere un valido supporto per imparare a connetterti con le sensazioni del corpo. La mindfulness, secondo Kabat Zinn, è la consapevolezza che emerge prestando attenzione, in modo non giudicante allo scorrere dell’esperienza nel presente, momento dopo momento (Kabat Zinn, 1990). E’ una pratica articolata sulla meditazione e si sta sempre più espandendo in vari ambiti della società contemporanea grazie agli enormi benefici, basati sull’evidenza scientifica, che la pratica determina sul piano sia fisico che psicologico (Van Dam et al 2018). Dedica uno spazio ogni giorno alla pratica mindfulness, anche pochi minuti al giorno ti aiuteranno a connetterti con il tuo corpo e le tue sensazioni. Provaci, potrai trovare sul web migliaia di tracce audio che ti possono accompagnare in questa esperienza di pratica meditativa basata sulla mindfulness. 3.Connettiti con l’ambiente intorno a te Connettiti con l’ambiente intorno a te, vuol dire porta tutta la tua attenzione su ciò che sta avvenendo intorno a te in questo preciso istante, abbassando il volume della mente pensante che ti sovraccarica di mille pensieri e concentrandoti unicamente all’ambiente intorno a te, ai suoni, ai rumori, agli odori a ciò che vedi. Come Immagina di essere un marziano sceso sulla terra che per la prima volta si trova a guardare lo schermo del cellulare o del pc che hai di fronte, nota come la luce si riflette sulla superficie e che effetto fa sulla tua vista, senti lo schermo, o la tastiera del pc sotto i polpastrelli, è ruvido, è liscio? scorri lentamente con il dito per andare avanti o indietro sull’articolo e presta attenzione alla sensazione sotto le dita, cosa noti? Ora presta attenzione all’ambiente intorno a te? l’aria è ferma o è in movimento? che rumori senti? Notane almeno 3 (adattamento tratto da Trappola della Felicità, di Hurris). Senz’altro avrai fatto esperienza di sensazioni a cui non presti solitamente attenzione, che pero ti connettono con l’ambiente intorno a te e ti permettono di essere pienamente consapevole dell’esperienza che stai sperimentando. Cerca di farlo ogni giorno per qualche minuto, noterai una maggiore connessione con l’ambiente intorno a te e una maggiore capacità di accogliere e apprezzare quello che c’è intorno a te, in questo momento in cui stiamo facendo i conti con il trascorrere un maggior tempo nelle proprie mura domestiche. 4.Connettiti con i tuoi valori I valori sono i desideri più profondi del nostro cuore, la direzione che vogliamo dare alla nostra vita. Che tipo di persona vuoi essere, che cosa ha valore e significato per te e per cosa vuoi impegnarti in questa vita; come vuoi affrontare le sfide che la vita ti pone difronte, come vuoi rapportarti con il mondo. Ad esempio il desiderio di essere “una persona resiliente”, capace di fronteggiare e riorganizzare positivamente la propria vita di fronte ad un evento negativo e’ un valore e dura tutta la vita. Se ti accorgi che in questo momento, in cui ci troviamo tutti ad affontare una situazione nuova/insolita, stai smettendo di essere resiliente, e ti abbatti , pensi e ti concentri sugli aspetti negativi, non organizzi il tuo tempo, anzi lo trascorri a preoccuparti, vuol dire che non stai conducendo la tua vita alla luce di quel valore. Fermati, pensa ai tuoi valori a connettiti con loro. Come Pensa ai tuoi valori, vuol dire individua le tue bussole e fai delle azioni che ti permettono di vivere secondo i tuoi valori. Se ti senti bloccato o stai rimandando dell’azioni, fermati un attimo. Prendi foglio e penna e organizza il tuo tempo, poniti degli obiettivi realistici da realizzare in questo momento in cui hai tanto tempo a disposizione. Inizia subito. Parlane con qualcuno di cui ti fidi. Rileggili. Ogni giorno ripassali mentalmente e nota se stai facendo quanto hai programmato. Connettiti a 4 C è un modo per gestire meglio le emozioni che stai sperimentando in questo momento e il tempo che hai a disposizione. Non ti chiedo di credere a quello che ho scritto, io per prima non lo farei se qualcuno me lo dicesse, ti chiedo di sperimentare le esperienze che ti ho qui indicato, impegnandoti attivamente (le attività esperenziali indicate sono tratte da protocolli basati su evidenze scientifiche) . Il cambiamento comporta dei rischi. Ti richiede di affrontare le tue paure e di uscire dalla tua zona di comfort (Harris, 2016), di riorganizzarti, porti degli obiettivi. Inizia subito a farlo. Non eliminerai le sensazioni spiacevoli, non è questo l’obiettivo, ma imparerai a farci la pace e magari poi, ma solo poi, riuscirai a guardare quello che ti sta succedendo con occhi diversi.
Nella vita di tutti i giorni stare fermi viene spesso associato a qualcosa di negativo, da evitare. Se stiamo fermi non facciamo errori ma non scopriamo neanche nulla di nuovo, non corriamo rischi ma non mostriamo nemmeno coraggio. Addirittura Dante nella Divina Commedia “condanna” questo stile di vita: gli ignavi sono coloro che non hanno mai agito e che per questo sono condannati a vagare senza sosta. Muoversi è la punizione infernale destinata a chi non si è mosso in vita. Senza dover ricorrere all’Inferno di Dante possiamo comunque osservare che quando si sta fermi la vita sembra più monotona, ci si può annoiare e sentire prigionieri della propria routine. Ci si protegge allora coltivando passioni, proteggendo sogni, costruendo progetti. Muovendosi, per non restare immobili. A volte bisogna però capovolgere le prospettive… Prendiamo spunto dal film “Jurassic Park”: il T-Rex è un animale gigantesco e terrificante, il suo morso è potentissimo e la sua forza distruttiva. Vedendolo si muore di paura, si crede di non avere scampo. Eppure il T-Rex ha un punto debole: vede solo quello che si muove, sente gli odori ma non vede bene. Può percepire lo spostamento di calore e di energia ma se si resta fermi si è al riparo. Possiamo associare il coronavirus ad un pericoloso T-Rex. Non è forse terrificante? La capacità di diffusione non lo rende anche gigantesco? La sua potenza non può essere considerata distruttiva? Può ferirci e sicuramente spaventarci molto. Davanti ad una situazione di tale portata ci sentiamo inermi e possiamo perdere la lucidità. L’unica arma a disposizione è quella che potremmo definire creativamente “mossa del T-Rex”: dobbiamo stare fermi. Questa soluzione può sembrare assurda, farci sentire ancora più impotenti, ma così come nel film di Spielberg, qui la strategia vincente diventa non muoversi. Con la differenza che tutto questo per noi è reale. Non è una situazione di facile comprensione per gli adulti, figuriamoci per i più piccoli. Vediamo qualche utile esempio per spiegare l’importanza di stare fermi anche a loro. La tartaruga, quando deve proteggersi o andare in letargo, ritrae zampe e testa nella corazza, resta chiusa nella sua “casa” e in questo modo si sente al sicuro. Restare in casa è come giocare a “un due tre…stella”: mentre il capogioco conta di spalle, i giocatori possono muoversi; devono immobilizzarsi quando questi si volta a guardarli, pena il tornare al punto di partenza. È come se in questo momento ci trovassimo nella fase “stella”: chi riesce a stare fermo fino alla fine vince il turno; chi si muove, invece, torna indietro. Certamente, occorre tenere presente che la vita in quarantena può amplificare i contro dello stare fermi: monotonia, noia, routine asfissianti. È bene però sottolineare che dobbiamo stare fermi solo fisicamente. Possiamo ancora continuare a proteggerci dedicandoci alle passioni e ai progetti. Da dove iniziare? Pianifica e scandisci le tue giornate, individuando momenti per lavorare, studiare o sistemare casa e altri dedicati al relax; Non dimenticare che anche se stai fermo/a, il tuo corpo continua a esistere: prenditene cura; Datti degli obiettivi: promuovi la tua professione, segui un programma di allenamento fisico, declina un hobby in un progetto concreto. Scegli l’obiettivo che fa per te e trova la strada per perseguirlo; Chiedi aiuto se hai bisogno: non potersi incontrare con gli altri non significa non poter contare su nessuno.